Il sistema sanitario nel nord di Gaza ha raggiunto un punto critico di rottura poiché le risorse mediche si sono completamente esaurite sotto incessanti bombardamenti israeliani. “Qualsiasi persona ferita che raggiunge l’ospedale muore a causa della mancanza di risorse,” ha dichiarato il Dott. Hussam Abu Safiya, Direttore dell’Ospedale Kamal Adwan nel nord di Gaza. La struttura medica, una delle ultime rimaste nella zona, è diventata un simbolo della disperazione della regione mentre l’offensiva israeliana si intensifica.
Con Gaza sotto un assedio soffocante, nessuna ambulanza è autorizzata a operare nella regione settentrionale, lasciando i civili gravemente feriti senza accesso a cure mediche immediate. Abu Safiya ha fatto appello urgentemente per un intervento internazionale, affermando: “Non ci sono mezzi per trasportare i feriti. I feriti arrivano da noi da soli o vengono trasportati da civili, e a volte muoiono durante il viaggio verso l’ospedale a causa di emorragie.” Ha chiesto una pressione globale su Israele per consentire l’ingresso di ambulanze e forniture mediche critiche, così come di squadre di chirurghi, nel nord di Gaza “prima che sia troppo tardi.”
Il Dott. Marwan Al-Hams, che supervisiona gli ospedali da campo nella regione, ha fatto eco alla preoccupazione di Abu Safiya, notando la grave carenza di professionisti sanitari. Il numero limitato di medici ha lasciato la risposta d’emergenza di Gaza incapace di affrontare il travolgente afflusso di feriti a causa dei continui attacchi aerei. Solo martedì, un singolo attacco israeliano su un edificio residenziale a Beit Lahiya ha provocato oltre 90 morti, secondo funzionari sanitari palestinesi. L’assalto nel nord di Gaza, parte di un’operazione israeliana iniziata il 5 ottobre, ha lasciato oltre 1.000 palestinesi morti, afferma il Servizio di Difesa Civile Palestinese.
Abu Safiya ha condannato l’assalto, definendolo “una guerra di sterminio” contro i residenti e il sistema sanitario del nord di Gaza. Le sue parole riflettono una profonda paura che il mirato attacco all’infrastruttura di Gaza non sia semplicemente per contrastare Hamas, come affermano i funzionari israeliani, ma un tentativo di allontanare permanentemente i palestinesi dall’area. “Israele sta conducendo una guerra di pulizia e sterminio nel nord di Gaza contro i residenti e il sistema sanitario,” ha affermato.
L’attuale offensiva rappresenta un’escalation in quello che è stato un anno di violenza intensa a Gaza. Oltre 43.000 palestinesi sono stati uccisi da quando le ostilità sono riprese lo scorso anno, secondo le autorità sanitarie locali. Tra i morti ci sono un gran numero di donne e bambini. Più di 101.000 sono stati feriti, e quasi l’intera popolazione di Gaza è stata sfollata mentre i bombardamenti continuano sotto un blocco che ha strangolato l’accesso di Gaza a cibo, acqua e medicine.
In risposta alla crisi, Abu Safiya e Al-Hams stanno facendo appello alla comunità internazionale per fornire assistenza immediata, inclusi chirurghi e specialisti in trauma, per aiutare a far fronte alla grave carenza di personale medico. “La comunità internazionale deve agire ora,” ha sottolineato Al-Hams. “La gente del nord di Gaza non sta solo morendo a causa delle bombe; sta morendo perché non c’è più nessuno che possa curarli.”
Con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ha chiesto un cessate il fuoco in una recente risoluzione, cresce la pressione sulla comunità internazionale per garantire la sua attuazione. Tuttavia, la mancanza di un intervento decisivo ha sollevato interrogativi sulla capacità del Consiglio di agire, mentre il numero di morti a Gaza continua a salire. Abbondano le accuse di violazioni dei diritti umani contro civili, giornalisti e operatori umanitari, dipingendo un quadro cupo della lotta di Gaza per la sopravvivenza.
La crisi in corso solleva una domanda urgente per i leader globali: per quanto tempo le richieste di aiuti medici, accesso umanitario e protezione dei civili rimarranno senza risposta a Gaza? Il mondo osserva mentre le vite sono appese a un filo, con ogni ora di inattività che amplifica solo la sofferenza di un popolo sull’orlo della catastrofe.