Ogni pochi anni, alcune trame nel mondo del golf si riciclano con la prevedibilità di una causa legale di Patrick Reed. Tra queste: il recente ritorno di Tiger Woods, la perenne ricerca di Rory McIlroy di una giacca verde ad Augusta e, inevitabilmente, la questione di cosa si possa fare per salvare la Presidents Cup. Questo evento biennale, che mette gli Stati Uniti contro una squadra Internazionale proveniente da ogni parte tranne che dall’Europa, rimane una fonte di accesi dibattiti. Nonostante momenti di intrattenimento, la competizione è raramente stata competitiva, con gli Internazionali che hanno vinto solo una volta nel 1998. Più recentemente, hanno subito la loro decima sconfitta consecutiva a Royal Montreal, perdendo 18.5 a 11.5—una sconfitta a prescindere da come venga inquadrata ottimisticamente.
Man mano che il divario tra le due squadre si allarga, abbondano le idee per livellare il campo di gioco. Alcuni suggeriscono di accorciare la durata dell’evento, altri propongono di modificare il formato incorporando giocatrici, e alcune voci addirittura sostengono di eliminare completamente il torneo. Ma c’è un’altra soluzione che è stata largamente trascurata: cambiare la proprietà della Presidents Cup.
Attualmente, la Presidents Cup è di proprietà e gestita dal PGA Tour. Creata sotto l’ex commissario Deane Beman e prima messa in scena durante il mandato di Tim Finchem, l’evento è stato progettato per cavalcare l’onda di entusiasmo generata dalla Ryder Cup. Ma il Tour mantiene un controllo rigoroso su ogni aspetto della competizione, dalla selezione dei capitani alla determinazione di chi è idoneo a giocare, fino alla scelta delle sedi ospitanti. L’esclusione dei difensori di LIV Golf come Cameron Smith, Joaquin Niemann e Abraham Ancer ha ulteriormente diluito la forza della squadra Internazionale, anche se anche con formazioni più forti, hanno faticato a competere in passato.
Quindi, e se il PGA Tour vendesse una parte della proprietà della Presidents Cup e cedesse il controllo della squadra Internazionale? Questo permetterebbe una gestione fresca, nuovi criteri di idoneità e la creazione di un campo di gioco più equilibrato. Un cambiamento del genere sarebbe simile al modello europeo per la Ryder Cup, dove il processo decisionale è diviso tra Europa e Stati Uniti. Consentire alla squadra Internazionale di gestirsi autonomamente eliminerebbe le attuali restrizioni, potenzialmente riportando stelle come Smith e Niemann, mentre darebbe all’evento maggiore autonomia nella sua portata globale.
Joe Ogilvie, un ex giocatore e ora membro del consiglio di PGA Tour Enterprises, ha proposto l’idea di monetizzare alcuni degli asset del Tour, inclusa la Presidents Cup. In una lettera ai membri del Tour, Ogilvie ha accennato al fatto che l’evento ha un valore non realizzato. La prospettiva di vendere parte della Coppa a un investitore privato potrebbe dare nuova vita alla competizione, non solo come evento sportivo ma anche come proprietà commerciale con un vero appeal globale. Quindi, chi potrebbe comprarla?
Il candidato più ovvio (e controverso) è il Public Investment Fund dell’Arabia Saudita, lo stesso ente che sostiene LIV Golf. Tuttavia, anche altri individui e corporation facoltosi con un interesse nel crescita globale del golf potrebbero farsi avanti. Un potenziale acquirente è il miliardario sudafricano Johann Rupert, un noto appassionato di golf e l’ospite del Dunhill Links Championship. Poi c’è Pawan Munjal, CEO di Hero MotoCorp, che ha costruito forti legami con lo sport attraverso la sua partnership con Tiger Woods. Il miliardario messicano Ricardo Salinas, che ha portato un torneo WGC in Messico, e l’industriale coreano Jin Roy Ryu, che ha sostenuto la Presidents Cup del 2015 a Seoul, potrebbero anche essere candidati validi.
Ognuno di questi potenziali investitori potrebbe portare nuova energia, risorse e strategie al lato Internazionale della Presidents Cup. Questo cambiamento di proprietà permetterebbe alla squadra Internazionale di evolversi in modo indipendente, libera dalle limitazioni imposte dal PGA Tour. Aprirebbe anche la porta a un pensiero più innovativo su dove e come il torneo è ospitato. Sebbene le recenti sedi internazionali come Montreal e Melbourne abbiano fornito un cambiamento di scenario, sono lontane dall’essere location all’avanguardia per coloro che mirano a far crescere lo sport a livello globale.
Libero il lato Internazionale, la Presidents Cup potrebbe trasformarsi da un affare prevalentemente centrato sugli Stati Uniti a una vera competizione globale. Con un team di gestione internazionale in atto, l’evento potrebbe espandere la sua presenza in nuove regioni, offrendo opportunità per paesi e sponsor desiderosi di una presenza nel golf professionistico. E per i fan, un evento più competitivo e imprevedibile riporterebbe l’emozione che è mancata negli ultimi anni.
La Presidents Cup è in corso da 30 anni e, sebbene abbia momenti di intrigo, non è ancora riuscita a catturare l’intensità e il dramma del suo omologo europeo, la Ryder Cup. Se il PGA Tour vuole sbloccare il pieno potenziale di questa competizione, vendere una partecipazione parziale a un investitore internazionale potrebbe essere la migliore strada da seguire. Una mossa del genere non solo creerebbe un campo di gioco più equilibrato, ma globalizzerebbe anche lo sport in modo significativo, qualcosa che è stato un obiettivo dichiarato del PGA Tour per decenni.
È facile considerare l’idea come radicale, ma le soluzioni radicali sono a volte le più efficaci. La Presidents Cup non deve essere abolita, ma ha bisogno di una ristrutturazione. Dando all’International side autonomia, sia la competizione che le prospettive commerciali dell’evento sarebbero rivitalizzate, rendendolo più di una semplice esposizione glorificata per il dominio degli Stati Uniti.
Man mano che il mondo del golf continua a evolversi, forse è tempo di abbandonare il vecchio modello. Come dice la famosa frase di Jonathan Livingston Seagull: “Se ami qualcosa, lascialo libero.” Potrebbe essere l’unico modo per salvare la Presidents Cup dal suo ciclo di mediocrità.